Da un punto di vista scientifico, è possibile chiarire la critica situazione climatica attuale e gli scenari futuri.

 

Gli ultimi tre rapporti generali dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), l’organismo delle Nazioni Unite che si occupa di cambiamento climatico, pubblicati nel 2021 e nel 2022, presentano infatti un’analisi dettagliata della letteratura scientifica internazionale degli ultimi anni e forniscono una sintesi dei risultati della ricerca per la loro divulgazione, sia alla comunità mondiale dei decisori politici che all’opinione pubblica.

 

Il primo rapporto, che si concentra sulle basi fisiche della scienza del clima, in particolare, rappresenta un sicuro riferimento per inquadrare le dimensioni dell’evoluzione del clima degli ultimi decenni, inquadramento ottenuto nell’ambito di osservazioni dirette ma anche indirette, che riescono a risalire più indietro nel tempo. Al tempo stesso, il rapporto fornisce una chiara interpretazione fisica delle cause del riscaldamento globale recente, interpretazione che viene da studi di attribuzione ormai tutti concordi tra loro. Infine, sulla base delle conoscenze attuali e di modelli climatici sviluppati ed evolutisi negli ultimi trenta anni, il rapporto è in grado di valutare il clima che potrà presentarsi nei prossimi decenni e secoli, sulla base di diversi scenari futuri di emissioni.

 

Il secondo rapporto IPCC ci mostra invece gli impatti del riscaldamento globale – e dei cambiamenti climatici ad esso collegati – sui territori, sugli ecosistemi e sull’uomo, in relazione alle sue attività produttive (prima tra tutte l’agricoltura), la sua salute, la sua sicurezza e, in generale, il suo benessere. In particolare, l’analisi si concentra sui vari scenari climatici ipotizzabili per il futuro e su possibili adattamenti alle situazioni che si dovessero verificare.

 

Infine, il terzo rapporto analizza le possibilità concrete che abbiamo per effettuare una mitigazione del riscaldamento globale, cioè per diminuire le nostre emissioni di gas serra e dunque limitare il futuro global warming – e ne valuta anche i costi e i benefici, in relazione all’economia e al benessere umano in generale.

 

Il quadro di sintesi che esce da questa attenta analisi della letteratura scientifica mondiale è molto chiaro. In breve:
– il riscaldamento recente è globale, esce ampiamente dalla variabilità naturale del clima ed è causato in maniera estremamente prevalente dalle azioni umane (emissioni di gas serra da combustioni fossili, deforestazione e cattivo uso del suolo);
– il futuro climatico dei prossimi decenni e secoli dipende anch’esso dalle nostre azioni, in particolare dalla decarbonizzazione delle nostre attività, come la produzione di energia, i trasporti, l’agricoltura;
– l’aumento della temperatura globale conduce a fenomeni diversi come intensità e talvolta come frequenza: si pensi alle ondate di calore, agli eventi estremi di siccità o di precipitazioni violente;
– questi fenomeni, soprattutto una volta che avvengano su territori o società fragili, portano ad impatti notevoli, via via più disastrosi all’aumentare del riscaldamento globale – l’adattamento a questi fenomeni mostra dei precisi limiti: negli scenari peggiori adattarsi potrebbe rivelarsi pressoché impossibile;
– la strada verso la mitigazione è oggi meno difficile rispetto al passato, in quanto la ricerca scientifica e tecnologica ha prodotto strumenti efficaci, i cui costi sono in “caduta libera”: si pensi alla produzione di energia da celle fotovoltaiche – inoltre, i benefici della decarbonizzazione sono molteplici e misurabili quantitativamente.

In questo contesto, gli studi sul bacino del Mediterraneo e sull’Italia mostrano le difficili peculiarità della nostra situazione.

La nostra zona rappresenta infatti un hot spot per il cambiamento climatico, con variazioni maggiori di temperature e precipitazioni, sia in media che in variabilità. A fronte di un riscaldamento quantificabile in poco più di 1°C nell’ultimo secolo a livello globale, la temperatura in Italia è aumentata invece di almeno 2°C. Inoltre, si hanno evidenze di aumento di frequenza e intensità delle ondate di calore negli ultimi decenni, come pure di un aumento di frequenza degli anni siccitosi. Quanto agli eventi estremi di precipitazione, questi appaiono diventare via via più intensi. Il cambiamento della circolazione, che vede sempre più spesso l’alternarsi di aniticicloni africani e irruzioni fresche o fredde, sta facendo cambiare il mite clima mediterraneo, con aumento degli estremi.

E’ sotto gli occhi di tutti come questo nuovo clima produca impatti sempre più preoccupanti sui nostri fragili territori (gran parte del territorio nazionale è a rischio frane e alluvioni). I nostri ghiacciai si stanno ritirando ad un ritmo accelerato. La quota neve si sta spostando sempre più in alto, con conseguenze per la disponibilità di risorse idriche. L’abbassamento del livello dei fiumi e il contemporaneo innalzarsi del livello dei mari sta facendo aggravare il problema del cuneo salino, con risalita di acque salate al delta del Po e in molte zone costiere.

Gli ecosistemi sono fortemente influenzati, sia in termini di perdita di biodiversità che di presenza di nuove specie e di patogeni che possono attaccare anche le nostre colture. Le attività produttive – prima tra tutte l’agricoltura – devono fare i conti pesantemente con questa evoluzione. La sicurezza dei nostri beni e della popolazione è fortemente a rischio, soprattutto laddove l’esposizione al pericolo risenta non solo di una scarsa cultura o preparazione all’emergenza, ma anche degli abusi perpetrati per decenni sul nostro territorio, abusi che conducono gli abitanti e i loro beni ad essere più esposti.

La nostra stessa salute peraltro è gravemente a rischio. In questo contesto ambientale aumenta la possibilità che insorgano malattie infettive e non trasmissibili, la resistenza antimicrobica e la scarsità d’acqua – tutti fattori che incrementano la potenzialità di nuove pandemie, come pure di eventi migratori e bellici. (Si veda, sulla salute umana, il contributo di Francesco Forastiere, epidemiologo del CNR).

In questa situazione, il futuro dipende da noi. Vi sono azioni da intraprendere prontamente, sia in termini di adattamento che di mitigazione.

Adattamento perché, a causa dell’inerzia del clima, dovuta principalmente al lungo tempo di permanenza dell’anidride carbonica in atmosfera e all’alta capacità termica di mari e oceani, dovremo abituarci a convivere con tutti i fenomeni che abbiamo citato, cercando di subire meno danni possibile.

Ma anche l’adattamento ha dei limiti: negli scenari climatici peggiori in futuro diventerà molto difficile, se non impossibile, adattarsi. Quindi bisogna evitare l’avverarsi di questi scenari attraverso la mitigazione, cioè diminuendo drasticamente le nostre emissioni di gas serra. E questo, a causa della già citata inerzia del clima, dovrà essere fatto subito, per poter ottenere dei risultati nel giro di pochi decenni.

Per le azioni possibili, di adattamento e di mitigazione, potete vedere le pagine successive, “Le soluzioni scientificamente corrette”, dove saranno anche indagati i benefici correlati a queste azioni, benefici di varia natura e in settori cui difficilmente si pensa.